Misurare la chetosi, quando si segue una dieta chetogenica, è possibile grazie a test specifici che indagano la presenza di corpi chetonici nel sangue e nelle urine. È bene però sapere che i test della chetosi hanno un margine di errore e dipendere da queste misurazioni è sbagliato. Ciò che davvero conto è sentirsi meglio e vedersi meglio, registrando progressivi risultati in termini di perdita di peso, ricomposizione corporea e riduzione delle circonferenze corporee.

La chetosi è il meccanismo su cui si fonda la dieta chetogenica, come rivela chiaramente anche il nome (qui un approfondimento sul tema). Entrare e rimanere in chetosi, quindi, è l’obiettivo di chi segue una keto diet. Un risultato che si ottiene riducendo drasticamente il quantitativo di carboidrati consumati in una giornata (approccio low carb), in modo da indurre l’organismo ad utilizzare le riserve di grasso come fonte di energia, al posto degli zuccheri. Ma come si fa ad essere certi di essere in chetosi? È possibile misurare questa condizione? Sì, la misurazione della chetosi è possibile, attraverso l’utilizzo di appositi keto test. Questi strumenti, però, vanno usati con intelligenza e soprattutto non bisogna diventarne dipendenti e ossessionati.

Cos’è e come funziona la dieta chetogenica

I test per misurare la chetosi: sangue, urine e respiro

Le modalità attraverso cui è possibile misurare la sussistenza e l’intensità dello stato di chetosi sono essenzialmente tre: test del sangue, test delle urine e test del respiro. Tutti sono facilmente reperibili in farmacia e possono essere fatti a casa propria.

Il keto test ematico misura direttamente la quantità di chetoni presenti nel sangue (cioè l’elemento fondante della chetosi). Basta pungersi la punta del dito (come nei test dell’insulina per diabetici) e stillare una goccia di sangue da far cadere su un’apposita striscia assorbente.

Molto semplice è anche il test delle urine. In questo caso è necessario bagnare l’apposita striscia assorbente con dell’urina. Nel giro di pochi secondi, il test si colora con intensità differente a seconda del quantitativo di corpi chetonici presenti nel liquido. È bene precisare che, con questo test, vengono conteggiati chetoni scartati dall’organismo, che ormai ne sono usciti perché espulsi proprio attraverso le urine.

Terzo metodo: il test con respiratore, dentro cui bisogna semplicemente espirare. Anche in questo caso, l’esame è molto semplici da realizzare ed è sempre basato su una misurazione indiretta, cioè la quantità di acetone presente nel respiro.

Quanto sono attendibili i test per la misurazione dei chetoni?

A questo punto, è normale chiedersi quanto siano attendibili questi test di misurazione della chetosi e quale lo sia maggiormente, anche per farsi guidare nell’acquisto. Il test più affidabile è senza dubbio quello del sangue, perché misura direttamente i chetoni presenti nel flusso ematico. Urina e respiro, invece, sono un po’ meno attendibili perché si basano su misurazioni indirette, di chetoni che sono ormai usciti dal corpo e rappresentano quindi uno scarto. C’è da dire, però, che il risultato che danno rappresenta comunque un buon punto di riferimento a fronte di una maggior facilità di utilizzo.

Consigli sulla misurazione della chetosi: quale test scegliere e come gestirla (h2)

Quindi, bilanciando la fruibilità con l’attendibilità, il test consigliabile è quello delle urine. Però, se si soffre di patologie particolari (come l’epilessia), è meglio affidarsi al test del sangue. In questo senso, la migliore indicazione non può che arrivare dal proprio specialista.

Ciò che è molto importante capire quando si parla di misurazione della chetosi è che non bisogna avere verso questi strumenti un approccio ossessivo, uguale a quello che molti hanno verso la bilancia. È bene misurare periodicamente lo stato di chetosi, soprattutto nella fase iniziale della dieta chetogenica, per sapere che percorso si sta intraprendendo. Allo stesso tempo, però, non si deve esagerare, finendo per essere dipendenti da una continua verifica della propria condizione. Il rischio, infatti, è quello di indurre un meccanismo stressante che può anche portare a frustrazioni e magari a lasciar perdere la dieta.

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