Le verdure nella dieta chetogenica, quali mangiare e in che quantità

Sono molte le verdure consentite durante la dieta chetogenica, perché, per loro natura, contengono pochi carboidrati. Questa affermazione, però, non vale per tutte le tipologie. Ecco perché è bene chiarire quali verdure possono essere mangiate in keto diet, in che quantità e quando.

Avendo affrontato altrove il rapporto tra frutta e dieta chetogenica, appare qui necessario approfondire un altro argomento strettamente correlato, cioè il ruolo della verdura nella ketodiet. Frutta e verdura, infatti, sono considerate, da sempre, colonne portanti di una corretta alimentazione, soprattutto tra i fautori della dieta mediterranea. La chetogenica, però, con i suoi principi stringenti, obbliga a rimettere in discussione qualsiasi dogma. Vediamo cosa succede con le verdure.

Le verdure consentite in dieta chetogenica (e quelle da evitare)

La domanda a cui dare risposta è: quali verdure si possono mangiare durante la dieta chetogenica? Per risolvere il quesito, bisogna partire dall’obiettivo fondamentale di questo regime alimentare: azzerare i carboidrati (se ne possono consumare al massimo 20 gr al giorno, al netto delle fibre). Nelle verdure, la presenza di carboidrati è piuttosto variabile, in alcune è molto bassa, in altre è abbastanza consistente, tanto da renderle non indicate per una dieta low carb.

Le verdure consigliate

Regola generale: durante la dieta chetogenica si possono consumare tutte le verdure a foglia verde. Appartengono a questa categoria: lattuga, sedano, insalata, broccoli, rucola, spinaci, radicchio, verza, cavolfiori, cavolo cappuccio, cavolini di Bruxelles, finocchi, cetrioli, peperoni verdi, ravanelli, cime di rapa, cipolla, funghi, asparagi, carciofi, zucchine, fagiolini, melanzane.

Le verdure da evitare o da consumare con moderazione

Invece, tra le verdure che vanno evitate o che comunque è meglio consumare in quantità limitate, rientrano tutte quelle con un contenuto di carboidrati più alto: pomodori, zucca e peperoni rossi e gialli.

La gestione delle verdure in ketodiet: quando e quante

Una volta fissati gli elenchi delle verdure che si possono mangiare in chetogenica e di quelle che è necessario moderare, è possibile rispondere alla domanda successiva: qual è la quantità giusta?

Le verdure del primo gruppo (a foglia verde) vanno consumate sia a pranzo che a cena, massimo 300 gr ogni volta. Anche le verdure del secondo gruppo possono essere mangiate a pranzo e a cena, ma al massimo 100 gr per ogni pasto.


Digiuno intermittente 20/4, come funziona?

La versione di digiuno intermittente 20/4 è una delle varianti del digiuno breve, cioè inferiore alle 24 ore. Rispetto alla formula 16/8, però, richiede un impegno maggiore, perché le ore continuative senza poter mangiare sono ben 20, mentre la finestra libera ne dura appena 4. Lo sforzo, però, è ripagato dai risultati: perdita di peso, ricomposizione corporea e più energia. L’importante, però, è conoscerlo e praticarlo bene. Vediamo come funziona.

Il digiuno intermittente è un antico segreto di benessere che, in anni recenti, molti stanno riscoprendo come strumento che aiuta a perdere peso e a migliorare il benessere psicofisico. Che sia una pratica antica, d’altra parte, lo rivela anche il fatto che forme di intermittent fasting sono presenti, da secoli, in molte tradizioni religiose e spirituali (basti pensare, ad esempio, al Ramadan musulmano). All’interno della macrocategoria del digiuno, la distinzione principale che va fatta è quella tra il digiuno lungo, che dura più di 24 ore, e il digiuno breve, che dura meno di 24 ore e è quello che personalmente mi sento di consigliare. A sua volta, il digiuno breve può essere praticato i due varianti: 16/8 e 20/4. Questo articolo è dedicato proprio al digiuno di 20 ore.

Cos’è il digiuno 20/4 e come funziona

Il funzionamento del digiuno intermittente 20/4 è racchiuso nel suo nome: 20 ore di astensione dal cibo e 4 ore disponibili per mangiare. Ma come organizzare questi tempi nella giornata? Quanti pasti fare? Cosa mangiare e cosa bere? Affrontiamo un punto alla volta.

L’orario dei pasti

Stabilito che si può mangiare solo in una finestra di 4 ore, la scelta del momento della giornata è pressoché indifferente. Molto dipende dalle proprie abitudini di vita e dalle esigenze personali. Si può decidere di consumare la colazione e un precoce pranzo (8-12), per mantenersi leggeri nel pomeriggio e nella notte. Oppure optare per dei pasti serali (16-20 o 18-22). Il consiglio che do ai miei pazienti è di prediligere il consumo di cibo nella prima parte della giornata, perché la sera il metabolismo tende comunque a rallentare.

La divisione dei pasti

Anche la divisione dei pasti è indifferente. Certo, nell’arco di 4 ore è difficile immaginarne più di due. E, personalmente, questa è l’opzione che prediligo.

Cosa mangiare e non mangiare

Durante la finestra di 40 ore non vigono divieti particolari rispetto al cibo che può essere mangiato. Però, avendo poco tempo a disposizione, è bene selezionare gli alimenti che apportano i giusti nutrienti e magari aiutarsi con specifici integratori. In particolare, bisogna prediligere grassi insaturi e proteine. Quindi è bene consumare quantità adeguate di carne, pesce, uova e verdure di stagione. Molto indicato anche il brodo, che aiuta anche a reintegrare i sali minerali. Niente di tutto questo, invece, può essere consumato durante le ore di digiuno, nelle quali è consentito solo bere.

Cosa bere

In questo caso la risposta è semplice: acqua, the, tisane e anche caffè. L’uso di bevande calde, peraltro, è un ottimo modo per ridurre il senso di fame.

I benefici del digiuno 20 ore

Se praticato con regolarità e seguendo le poche prescrizioni che abbiamo visto, il digiuno intermittente può dare importanti benefici al corpo, che vanno ben oltre la semplice perdita di peso.

Dimagrimento e ricomposizione corporea

In particolare, con il digiuno si dimagrisce ottenendo, contemporaneamente, un’efficace ricomposizione corporea. Questo significa che non solo scendono i kg sulla bilancia, ma quello che si perde è soprattutto grasso. Il risultato è che si abbassa la percentuale di massa grassa e si alza quella di massa magra.

Aumento dell’energia

Così come dopo un pranzo abbondante capita di sentirsi stanchi e assonnati, durante il digiuno si ha la reazione esattamente opposta, ovvero un aumento di energia. Questo avviene perché durante l’astensione dal cibo si bruciano grassi e questo fa sì che l’apporto energetico sia costante e non sottoposto a continui alti e bassi come quando si assumono carboidrati.

Incremento del metabolismo

Il fatto che, in fase di digiuno, il corpo vada a consumare le riserve di grasso, comporta anche effetti benefici al metabolismo basale che viene incrementato e non rallentato, come si potrebbe erroneamente pensare.

I benefici del digiuno 16 ore

Pur essendo la versione più semplice di dieta del digiuno, l’astensione dal cibo per 16 ore permette di godere dei vantaggi proprio del digiuno intermittente.

Ovviamente il primo e più ambito effetto è la perdita di peso. Ma non chiedete quanti kg si perdono con il digiuno intermittente 16 ore, perché non c’è una risposta univoca che vale per tutti. Di sicuro, la bilancia scende. Questo avviene per due motivi: la diminuzione dell’assunzione calorica e un cambio nella risposta insulinica. Allo stesso tempo, non si corre nessun pericolo di perdita della massa muscolare.

Contrariamente a quanto potreste pensare, sottoporsi a digiuno non rende più stanchi ma, al contrario, aumenta l’energia. Pensateci un attimo: vi siete sentiti più stanchi dopo il pasto di Natale oppure in un giorno in cui, per il tanto lavoro, vi siete trovati a saltare il pasto? Sono certo che in quest’ultima situazione vi sentivate più sotto pressione e più lucidi.

C’è poi da considerare l’impatto positivo del digiuno intermittente sul metabolismo. Infatti, quando l’apporto di cibo scende a 0 (durante il digiuno) l’organismo non può fermare il metabolismo basale ma deve, al contrario, incrementarlo, per consentire al nostro corpo di attingere al “combustibile”, che non è più è più costituito dagli alimenti ma dal grasso corporeo.

Infine, è fondamentale sottolineare che la pratica del digiuno intermittente permette anche di controllare meglio le patologie connesse con sovrappeso e obesità.

Leggi anche: il digiuno intermittente 16/8


Digiuno intermittente 16/8, ecco come farlo

Il digiuno intermittente 16/8 è la versione più accessibile di questa antica ed efficace pratica di benessere. Per questo motivo, la formula delle 16 ore è quella scelta dalla maggior parte delle persone che si approcciano per la prima volta al digiuno. Per ottenere risultati, però, bisogna imparare a gestirla bene e non focalizzarsi su quanti kg si possono perdere ma su quanti benefici si regaleranno al proprio corpo.

Del digiuno intermittente e dei suoi benefici abbiamo già parlato in un altro approfondimento. Stavolta, invece, andiamo più nello specifico e vediamo nel dettaglio il digiuno 16/8. L’intermittent fasting, infatti, può essere praticato in vari modi, con crescenti gradi di difficoltà. La distinzione principale è tra digiuno breve (entro le 24 ore, con due possibili opzioni:16/8 e 20/4) e digiuno lungo (oltre le 24 ore). Questa seconda opzione, però, la sconsiglio a chi si approccia per la prima volta a questa pratica e anche a chi assume diversi farmaci.

Cos’è il digiuno 16 ore e come funziona

Il digiuno 16/8 appartiene al primo gruppo, cioè quello dei digiuni che durano meno di 24 ore. Nello specifico, il digiuno dura 16 ore, mentre 8 sono le ore della finestra temporale durante la quale si può mangiare. Non è importante quando inizia e quando finisce questa finestra, purché ci si astenga rigorosamente dal cibo nelle restanti. Questo permette di adattare il digiuno alle proprie esigenze, magari legate al lavoro, o alle preferenze alimentari. Ad esempio, si può decidere di consumare i propri pasti tra le 12 e le 20 di sera, saltando quindi la colazione. Oppure, viceversa, si può scegliere di mangiare dalle 8 alle 16, rinunciando alla cena. Personalmente, consiglio questa seconda soluzione, perché la sera il metabolismo rallenta. Anche la divisione dei pasti è abbastanza libera, ma è preferibile consumarne due o tre (colazione-spuntino-pranzo, oppure pranzo-spuntino-cena).

Cosa mangiare (e non mangiare) durante il digiuno intermittente 16/8

Durante le 16 ore di digiuno si devono evitare totalmente i cibi solidi. Allo stesso tempo, è consigliato bere molti liquidi: acqua, in primo luogo, ma anche thè, tisane e caffè. Molto indicate anche le bevande calde, utili per ridurre il senso di fame, perché distendono le pareti gastriche.
Le 8 ore dedicate al cibo, invece, non prevedono prescrizioni particolari e non bisogna stare li a contare le calorie. Piuttosto, meglio preoccuparsi della composizione degli alimenti, prediligendo quelli che contengono proteine e grassi insaturi. Sono benvenuti, quindi, carne, pesce, uova e verdure di stagione. Da non disdegnare anche un buon brodo, che reintegra i sali minerali. In generale, poi, ritengo spesso opportuno l’uso di integratori in chi pratica il digiuno.

I benefici del digiuno 16 ore

Pur essendo la versione più semplice di dieta del digiuno, l’astensione dal cibo per 16 ore permette di godere dei vantaggi proprio del digiuno intermittente.

Ovviamente il primo e più ambito effetto è la perdita di peso. Ma non chiedete quanti kg si perdono con il digiuno intermittente 16 ore, perché non c’è una risposta univoca che vale per tutti. Di sicuro, la bilancia scende. Questo avviene per due motivi: la diminuzione dell’assunzione calorica e un cambio nella risposta insulinica. Allo stesso tempo, non si corre nessun pericolo di perdita della massa muscolare.

Contrariamente a quanto potreste pensare, sottoporsi a digiuno non rende più stanchi ma, al contrario, aumenta l’energia. Pensateci un attimo: vi siete sentiti più stanchi dopo il pasto di Natale oppure in un giorno in cui, per il tanto lavoro, vi siete trovati a saltare il pasto? Sono certo che in quest’ultima situazione vi sentivate più sotto pressione e più lucidi.

C’è poi da considerare l’impatto positivo del digiuno intermittente sul metabolismo. Infatti, quando l’apporto di cibo scende a 0 (durante il digiuno) l’organismo non può fermare il metabolismo basale ma deve, al contrario, incrementarlo, per consentire al nostro corpo di attingere al “combustibile”, che non è più è più costituito dagli alimenti ma dal grasso corporeo.

Infine, è fondamentale sottolineare che la pratica del digiuno intermittente permette anche di controllare meglio le patologie connesse con sovrappeso e obesità.

Leggi anche: il digiuno intermittente 20/4


Dieta chetogenica, i falsi miti senza fondamento scientifico

Tutti parlano di dieta chetogenica ma pochi la conoscono. C’è chi la confonde con le diete iperproteiche, chi dice che ha pericolosi effetti collaterali ai danni di reni e fegato, chi sostiene che possa essere seguita solo per brevi periodi. Falsi miti senza fondamento scientifico. Facciamo un po’ di chiarezza sulle voci di corridoio che riguardano la ketodiet, il regime alimentare povero di carboidrati e ricco di grassi.
Ormai sono diversi anni che la dieta chetogenica viene studiata e praticata anche in Italia. Eppure, alcuni falsi miti che tendono a screditarla sono duri a morire. C’è, ad esempio, chi sostiene che un regime alimentare con pochissimi carboidrati e molti grassi vada a danneggiare fegato e reni. Oppure chi confonde la ketodiet con le diete iperproteiche. Infine, molti la ritengono una soluzione utile per dimagrire ma non uno stile di alimentazione che possa essere protratto per lunghi periodi. In realtà, ognuna di queste affermazioni è scorretta. Vediamole una alla volta e capiamo il perché.

La dieta chetogenica fa male ai reni

Avete sicuramente un amico che, almeno una volta, ha tirato fuori questa frase: la chetogenica fa male ai reni. D’altronde, è uno dei timori principali che manifestano le persone quando gli viene proposto una dieta di questo tipo. Una paura purtroppo alimentata da molti, pessimi, articoli di (dis)informazione, che circolano soprattutto online. La chetogenica, sostengono i suoi detrattori, affatica i reni perché li costringe a smaltire un numero molto più elevato del normale di scorie tossiche derivanti dalla chetosi e dalla degradazione delle proteine. In realtà, non è affatto così. Nessuna evidenza scientifica ha mai provato questo effetto negativo della ketodiet sui reni. Anzi, è vero l’opposto. Questo particolare regime alimentare, infatti, escludendo quasi del tutto i carboidrati, aiuta a prevenire diabete e ipertensione, veri nemici dei reni.

Ci sono solamente due situazioni in cui è sconsigliabile seguire la dieta chetogenica:

  • persone con una storia di calcoli renali;
  • persone affette da malattia renale avanzata.

La dieta chetogenica fa male al fegato

Altro grande classico che sbandierano tutti coloro che non vedono di buon occhio la chetogenica: fa male al fegato. Anche stavolta, però, siamo di fronte a una fake news, forse ancora più infondata della precedente. Chi sostiene questa tesi la basa su una considerazione apparentemente ovvia: nella ketodiet si consumano molti grassi e questi non possono che finire “stoccati” nel fegato. Tutto ciò comporterebbe un alto rischio di insorgenza della steatosi epatica non alcolica, patologia comunemente conosciuta come fegato grasso. Peccato che, anche in questo caso, ad essere vero è proprio il contrario. Infatti, sono i troppi carboidrati a causare l’accumulo di grassi nel fegato. Quindi, una dieta low carb sortisce l’effetto opposto: rende il fegato meno grasso. Ci sono poi tutta una serie di ulteriori vantaggi: la diminuzione dell’appetito, la perdita di grasso addominale, la riduzione dei livelli di insulina. Sapete qual è il paradosso? La dieta chetogenica può aiutare a trattare la patologia del fegato grasso, piuttosto che aggrevarla.

La ketodiet è una dieta iperproteica

Il terzo falso mito della dieta chetogenica non necessita neanche di troppe parole per essere smentito. La ketodiet non è un regime iperproteico. Quelli che si possono mangiare in abbondanza sono i grassi, le proteine ci sono, ma in quantità moderate. Quasi nulli, invece, i carboidrati.

La ketodiet non può essere seguita per lunghi periodi

Ultima notizia falsa a cui controbattere: la chetogenica va bene per dimagrire ma se fatta per poco tempo. Questa tesi è un po’ la sintesi e la conseguenza di tutte le precedenti. Se stare in chetogenica affatica i reni e il fegato e porta a consumare un quantitativo eccessivo di proteine, allora viene da sé che possa durare solo un tempo limitato. Ma se, come detto, le premesse sono false, cade anche l’affermazione finale. E infatti la ketodiet può essere un regime alimentare di lunga durata, se non addirittura da seguire vita natural durante.

Qui trovi maggiori informazioni sui benefici della dieta chetogenica


Dieta chetogenica, 5 errori da non fare

Ci sono alcuni errori che possono frenare l’efficacia della dieta chetogenica, deludendo chi la sceglie per dimagrire. Conoscerli consente di superare il problema e di arrivare dritti ai propri obiettivi di benessere e salute.
La dieta chetogenica, nata negli USA come keto diet, è un protocollo di dimagrimento che sta avendo moltissima risonanza in tutto il mondo. È basata su un’alimentazione ricca di grassi, con moderato apporto di proteine e un bassissimo contenuto di zuccheri. Molte persone la scelgono, consigliate dai loro nutrizionisti di fiducia, ottenendo ottimi risultati. C’è, però, anche chi ha difficoltà a seguirla e non riesce a raggiungere gli obiettivi. Questo avviene perché si cade in alcuni errori che possono compromettere tutto il percorso. Ecco i cinque più frequenti.

1

Introdurre troppe calorie

In chetogenica, i grassi sono fondamentali. Un grammo di grasso, però, contiene 9 kcal, un quantitativo piuttosto elevato. Consumando molti grassi, quindi, è facile perdere il controllo delle calorie introdotte nel corpo. Qual è il trucco? Mangiare solo quando se ne avverte il bisogno, mai per “gola”. Nella keto diet, infatti, il senso di fame passa dopo solo due giorni. Se si impara ad ascoltare il proprio corpo, quindi, l’introito calorico diminuirà di conseguenza.

2

Non mangiare abbastanza grassi

Rieccoci al punto. I protagonisti della dieta chetogenica sono i grassi, non le proteine, come molti credono. In questo regime alimentare, i grassi sono la prima fonte di energia. Questo significa che vanno consumati nella giusta quantità, per permettere al meccanismo di funzionare correttamente. È ovvio che anche le proteine sono importanti, ma mangiarne in quantità uguale ai grassi può rallentare il dimagrimento.

3

Abusare di cibi raffinati

Il cibo consumato durante la chetogenica deve essere “vero”. Niente pasti sostitutivi, barrette, integratori, che spesso sono ricchi di calorie che, come detto, rallentano il dimagrimento.

4

Bere poca acqua e introdurre poco sodio

Quando si segue la ketodiet il corpo non è in grado di immagazzinare molta acqua e, di conseguenza, molto sodio verrà eliminato con le urine. Questo può comportare disidratazione, debolezza e nervosismo e la carenza di sodio può portare ad affaticamento e crampi. Ecco perché è necessario assumere circa 2,500-3,000 mg di sodio al giorno attraverso l’alimentazione e bere circa 2-2,5 litri di acqua.

5

Non farsi seguire da un nutrizionista esperto in chetogenica

La chetogenica, come tutte le diete, è uno strumento che, per funzionare bene, deve essere gestito da mani esperte. Non si può improvvisare una keto diet “fai da te”. Il rischio di fare danni è altissimo. Si passerebbe dall’avere importanti benefici (diminuzione della pressione arteriosa e del colesterolo, ad esempio) al fare male al proprio organismo. Quindi, è fondamentale sottoporsi a una visita approfondita da parte di uno specialista, che prenda in considerazione tutte le possibili variabili: problemi di salute, uso di farmaci o integratori, stile di vita, componente genetica. Non siamo tutti uguali ed è impensabile di poter trattare tutte le persone con lo stesso approccio.


La chetogenica come dieta antinfiammatoria

L’azione benefica della dieta chetogenica sulle infiammazioni è oggetto di studi scientifici. Il vantaggio di questo regime alimentare risiederebbe nel bassissimo contenuto di zuccheri. Ad oggi, indagini sugli effetti a breve termine non hanno dato riscontri positivi. La keto diet, però, agisce sul lungo termine, perché richiede all’organismo un cambio nelle modalità di reperimento dell’energia.

Cosa si intende per infiammazione

La flogosi, comunemente nota come infiammazione, è un meccanismo di difesa che si manifesta nel nostro organismo per eliminare un fattore esterno nocivo, sia esso chimico, fisico o biologico. L’infiammazione, generalmente, si manifesta con quattro fenomeni clinici conosciuti sin dall’antichità:

  • Rossore
  • Gonfiore
  • Calore
  • Compromissione funzionale della zona colpita

Iniziando in un punto preciso, può rimanere localizzata lì o diffondersi sistemicamente, colpendo, così, l’intero organismo. Se non trattata correttamente, andando alla radice del problema, un’infiammazione può diventare cronica e creare uno squilibro all’organismo umano con inevitabili ripercussioni e forti dolori.
Tra i tipi di infiammazione cronica che si manifestano più comunemente troviamo l’artite e la dermatite. L’artrite è una condizione infiammatoria cronica di origine sconosciuta a carico del sistema muscolo-scheletrico che genera un coinvolgimento del sistema immunitario. La dermatite, invece, è il nome di una serie di condizioni infiammatorie di diversa origine a carico della pelle, che si manifestano con rossore, prurito, lesioni della zona interessata e gonfiore.

Alimentazione e infiammazione, cosa può fare la dieta chetogenica

Il ruolo dell’alimentazione nella gestione di un’infiammazione può essere determinante. La dieta chetogenica, che oggi riscuote molto successo, sembra avere un’efficacia proprio in questa direzione. Nonostante l’esistenza di pareri contrastanti, infatti, ci sono alcune evidenze che correlano questo tipo di alimentazione con una riduzione dei sintomi infiammatori. Di certo, ad oggi, c’è un’abbondante e solida letteratura sugli effetti della dieta chetogenica nel trattamento del diabete di tipo II, della sindrome metabolica e dell’obesità. Parallelamente, stanno cominciando a nascere le prime evidenze circa il trattamento di patologie infiammatorie.

Il ruolo degli zuccheri nelle infiammazioni

L’elemento chiave di questi studi è il ruolo degli zuccheri e dei carboidrati, che nella chetogenica sono presenti in bassissime quantità. Questi nutrienti, infatti, pare siano dei mediatori infiammatori e possano peggiorare le patologie croniche di natura infiammatoria. Inoltre, è stato evidenziato che un’alimentazione a bassisimo contenuto di grassi è in grado di aumentare la produzione di adenosina: un nucleotide la cui espressione è in grado di inibire la funzione infimmatoria dei neutrofili.
Nella sperimentazione clinica molti pazienti che seguono un corretto regime alimentare chetogenico spesso registrano una diminuzione nei dolori osteo-articolari di natura infiammatoria e anche i pazienti che soffrono di emicrania, spesso, attraverso questo regime a bassissimo contenuto di zuccheri, riducono l’infiammazione inevitabilmente debilitante. Inoltre, per i pazienti affetti da patologie infiammatorie del tratto gastro intestinale (morbo di Chron e colite ulcerosa), la keto diet sembra in grado di migliorare la sintomatologia e ripristinare la mucosa gastro-intestinale lesa.

I pareri contrastanti

Tuttavia, un recente studio, ha messo in contrapposizione gli effetti di una dieta chetogenica isocalorica con le comuni linee guida alimentari (50% carboidrati, 35% grassi, 15% proteine) nel trattamento dell’infiammazione dimostrando l’adozione di tale dieta non apporterebbe nessun miglioramente del quadro infiammatorio.
A distanza di quattro settimane, il gruppo in esame che seguiva la dieta chetogenica ha registrato un aumento dei marcatori infiammatori (ES. Proteina C reattiva, FGF21 etc.), del colesterolo totale e una netta diminuzione dei trigliceridi e della glicemia rispetto al gruppo che seguiva le normali linee guida alimentari.

L’efficacia della keto diet sul lungo termine

È molto importante, però, rilevare che i benefici della dieta chetogenica si registrano a lungo termine e forse quattro settimane non sono sufficienti a registrare dei netti miglioramenti. Tale circostanza è determinata dal fatto che l’organismo deve completamente cambiare il modo di ‘reperire energia’, passando dal glucosio ai corpi chetonici che inducono la chetosi.
Tutto quanto detto, si può concludere evidenziando purtroppo l’attuale inesistenza di studi a lungo termine che indichino una forte correlazione tra dieta chetogenica e infiammazione ma si evidenzia, altresì, come l’attenzione nell’ambito del settore scientifico sul tema sia in continua crescita specie negli Stati Uniti.

Leggi anche: "Dieta Chetogenica, due secoli di sperimentazioni" - Rivista La Pelle


Il ruolo della dieta chetogenica della lotta alla cellulite

La dieta chetogenica è in grado di favorire l’eliminazione della cellulite, grazie all’azione antinfiammatoria dei chetoni che aiuta a produrre. Inoltre, la keto diet, grazie al basso contenuto di zuccheri ingeriti, facilita l’eliminazione dei liquidi che ristagnano nel tessuto infiammato.

Cos’è la cellulite

La cellulite è una condizione di natura infiammatoria, spesso fisiologica, che colpisce fino all’85% delle donne adulte. La sua comparsa è dovuta ad una alterazione del microcircolo con conseguente accumulo di liquidi nei tessuti cutanei. Nelle sue manifestazioni inziali, non è propriamente classificata come una patologia. Può diventare di interesse medico, però, nelle ultime fasi, quelle in cui, a causa dell’infiammazione dei tessuti circostanti, si formano noduli che danno dolore alla palpazione.

Le cause della cellulite possono essere diverse. La genetica gioca senza dubbio un ruolo importante, unita a una componente ormonale e vascolare. Ci sono poi numerosi fattori di rischio che aumentano le possibilità che insorga questo problema: stress, malattie epatiche, disturbi intestinali e, ovviamente, una cattiva alimentazione.

Il fatto che non possa essere considerata sempre e comunque una patologia, non rende la cellulite meno fastidiosa. Anzi, manifestandosi attraverso evidenti inestetismi, questa condizione provoca nelle donne che ne soffrono senso di frustrazione e di inadeguatezza.

Gli stadi della cellulite

Come già accennato, la cellulite conosce un’evoluzione nel tempo, scandita da diverse fasi:

  • Edematosa: è il primo stadio, durante il quale si nota un iniziale accumulo di liquidi, e in questo momento la situazione è ancora reversibile;
  • Fibrosa: iniziano a formarsi dei micro-noduli, che rallentano la circolazione sanguigna, e si comincia a formare la ‘pelle a buccia di arancia’;
  • Sclerotica: è l’ultimo stadio della cellulite, durante il quale i micro-noduli si uniscono formando dei macro-noduli, la zona si presenta con molti infossamenti e dolorosa al tatto e la situazione diventa molto difficile da trattare.

Trattare la cellulite con la dieta chetogenica

Se, come detto, un’alimentazione sbagliata può essere tra le concause della cellulite e peggiorarla, allo stesso tempo, un regime alimentare corretto rappresenta un valido alleato per combatterla. E la dieta chetogenica lo è in particolar modo, come dimostrato da recenti studi scientifici. Queste ricerche, infatti, hanno analizzato i positivi effetti anticellulite di un regime calorico restrittivo ad alto contenuto di grassi e ridotto contenuto di zuccheri.

La keto diet ha una comprovata efficacia antinfiammatoria, e la cellulite è un’infiammazione. Quando si segue una dieta chetogenica, sotto il controllo di un nutrizionista specializzato, si va a promuovere la produzione di corpi chetonici, che svolgono, appunto, questa funzione di contrasto alle infiammazioni.

Inoltre, ridurre drasticamente zuccheri semplici e complessi, come si fa durante la cheto, porta ad eliminare molti dei liquidi che stagnano proprio nel tessuto infiammato.

Se vuoi saperne di più sulla keto diet, puoi leggere qui un approfondimento: Dieta Chetogenica