I carboidrati fanno ingrassare?

Una delle ragioni principali per rinunciare ai carboidrati è che fanno ingrassare, se non si è in grado di gestirli con accortezza. Ma perché? Le ragioni hanno a che fare con il ruolo dell’insulina e con il tema della dipendenza da zuccheri e cibi raffinati. Scopri di più in questo approfondimento.

Quando si parla di ingrassare, i primi a finire sul banco degli imputati sono i grassi. D’altra parte, la stessa struttura della parola sembra indicare loro come colpevoli dello spiacevole aumento di peso: ingrassare, cioè mettere grasso. Ma è davvero così? Sono i grassi a far ingrassare? In realtà, no. Molto più probabile, invece, che i responsabili siano i tanto amati carboidrati, contenuti in moltissimi cibi di successo, come pane, pasta e frutta. A loro, infatti, è imputabile l'epidemia di sovrappeso e obesità che ha colpito la popolazione mondiale negli ultimi 30 anni. Proprio quei carboidrati che rappresentano la colonna portante di moltissimi regimi alimentari considerati sani e che invece la dieta chetogenica (e le diete low carb in generale) tendono a escludere quasi completamente.

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Perché i carboidrati fanno ingrassare? Il ruolo dell’insulina

Un’affermazione così importante, però, necessita di una spiegazione più approfondita. La domanda non può essere elusa: perché i carboidrati fanno ingrassare? La prima cosa da fare è chiarire che un argomento così complesso non può essere affrontato con affermazioni assolutistiche. Dire che i carboidrati fanno sempre e comunque ingrassare non è corretto. Ad esempio, se si è normopeso e si sa gestire la presenza di zuccheri nella propria dieta non si corre alcun rischio. Il problema è che la maggior parte delle persone non riesce ad essere così attenta. Ed è in questo caso che i carboidrati fanno ingrassare.

Il motivo principale è legato ai processi fisiologici che il consumo di questi nutrienti innesca e che coinvolgono soprattutto l’insulina, uno degli ormoni chiave del corpo umano. Quando si mangiano i carboidrati, infatti, il quantitativo di zuccheri (glucosio) presente nel sangue cresce, dando luogo al cosiddetto picco glicemico. A questo punto, l’organismo attiva l’unica soluzione che conosce per contrastare l’eccesso di zucchero nel sangue: produrre insulina per consumarlo. Il risultato, però, è che le cellule utilizzano il glucosio per produrre energia e non aggrediscono le riserve di grasso (cosa che sarebbe invece auspicabile)

La dipendenza da carboidrati

C’è, però, un altro meccanismo di cui l’insulina è responsabile e che è strettamente legato con il tema dell’ingrassare. È quello dell’aumento del senso di fame e della dipendenza da zuccheri. Torniamo per un attimo alla situazione di picco glicemico che consegue al consumo massiccio di carboidrati. L’organismo, come detto, risponde producendo insulina per abbassare drasticamente e immediatamente il livello di glucosio. Questo rapido precipitare del quantitativo di zuccheri, però, innesca nel corpo una sensazione di bisogno: è la fame, in particolare la fame di carboidrati. L’organismo, quindi, si trova a richiedere ciò che sa che gli dà energia. Insomma, un vero e proprio Carbo Loop, concetto che ho utilizzato come titolo del mio secondo libro per rendere l’idea della dipendenza da zuccheri raffinati. Una condizione ulteriormente aggravata dalla circostanza per cui, quando si consumano troppo cibi dolci, i recettori della dopamina, attivati troppo spesso, cominciano a non funzionare più correttamente.

In sintesi, quindi, i carboidrati fanno ingrassare per due ragioni principali:

  • bloccano il consumo di grassi come fonte di energia;
  • danno dipendenza.

Come riattivare il metabolismo: 6 consigli efficaci

Il blocco metabolico è una delle paure principali di chi si mette a dieta. Ecco perché spesso si sente parlare della necessità di sbloccare il metabolismo e farlo ripartire. Strategie efficaci ce ne sono, ma per applicarle bisogna prima conoscere bene il problema.

Riattivare il metabolismo, risvegliarlo, accelerarlo, sbloccarlo. Sono termini molto ricorrenti tra coloro che seguono una dieta o hanno intenzione di farlo. Intorno al metabolismo, infatti, ruotano gran parte delle gioie e dei dolori di chi vuole perdere peso e il famigerato blocco metabolico è il mostro di fronte a cui nessuno vorrebbe mai trovarsi. Ma esiste davvero questo blocco metabolico? E se esiste, da cosa è causato e come si riconosce? Soprattutto: come si fa a rimettere in moto un metabolismo bloccato? Questo articolo risponde proprio a queste domande, cercando di fare chiarezza su un tema affrontato spesso con troppa superficialità.

Cos’è il blocco metabolico

Nessuna risposta, però, può essere formulata se non si chiariscono prima i contorni dell’oggetto della discussione, cioè il blocco del metabolismo (o blocco metabolico). Con questa espressione si indica solitamente una condizione in cui l’organismo rallenta la sua spesa energetica. Detto in altre parole: consuma meno. In una persona che sta a dieta e vuole dimagrire, il blocco metabolico si traduce in uno stallo del peso: la bilancia smette di scendere. Ed è per questo che è così mal visto. Di per sé, però, il blocco metabolico non è una condizione patologica, non significa che il corpo funziona male. Anzi, è assolutamente fisiologico che il fisico si adatti alle condizioni esterne.

Sintomi e cause del metabolismo bloccato

Come si fa a rendersi conto se il proprio metabolismo ha bisogno di una scossa? Oltre al già menzionato stallo del peso, i principali sintomi di un blocco metabolico sono:

  • senso di stanchezza e spossatezza;
  • pressione bassa;
  • gonfiore addominale;
  • stitichezza.

Le cause più frequenti del rallentamento del metabolismo, invece, sono:

  • diete fortemente ipocaloriche;
  • età;
  • stile di vita sedentario.

Cosa fare per sbloccare il metabolismo e riattivarlo

A questo punto, dopo aver passato in rassegna le caratteristiche, i sintomi e le cause del blocco metabolico, è arrivato il momento di qualche consiglio utile a sbloccare il metabolismo e a farlo ripartire. Di seguito, sei consigli diretti e pratici:

  • Prediligere le dieta low carb o chetogeniche, che diminuiscono nettamente il quantitativo di carboidrati assunti e permettono di mantenere bassa l’insulina e migliorare insulino resistenza;
  • Praticare il digiuno intermittente, nella forma del 16/8 o del 20/4, consumando due pasti al giorno (che però non significa mangiare poco);
  • Utilizzare l’aceto di mele come condimento;
  • Consumare molta verdura;
  • Curare il riposo, dormendo un numero di ore sufficiente;
  • Fare esercizio fisico, possibilmente praticando anche sollevamento pesi.

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Come fare per mangiare pochi carboidrati? Ecco i cibi consigliati e quelli da evitare

Mangiare pochi carboidrati è possibile. I cibi con pochi o addirittura senza carboidrati, infatti, sono molti. Di seguito, un approfondimento dedicato agli alimenti consigliati o vietati in una dieta low carb, con alcuni consigli pratici.

Quando si decide di intraprendere la strada di una dieta low carb, come quella chetogenica (che ne prevede al massimo 20 grammi netti al giorno), ci sono due scogli psicologici da affrontare immediatamente. Il primo è legato all’abitudine che quasi tutti abbiamo di consumare moltissimi carboidrati durante la giornata (pane, pasta, pizza, frutta e via dicendo), fino ad esserne dipendenti, pur senza rendersene conto. La seconda difficoltà, invece, è frutto di un errata convinzione: quella che porta a pensare che i cibi low carb disponibili siano pochissimi e che quindi si è condannati a una dieta ripetitiva e stancante. Per fortuna, non è così. Se ci si ferma un attimo a pensare e ci si affida a un nutrizionista esperto, si scopre che sono tantissimi i cibi che contengono pochi carboidrati o addirittura non ne hanno affatto. Sono loro la risposta migliore alla domanda più ricorrente: come fare per mangiare pochi carboidrati?

Conosci già le diete con pochi carboidrati?

Cibi consigliati per la dieta low carb

Partiamo dai cibi consigliati a tutti coloro che scelgono una dieta con bassi carboidrati. È possibile dividerli in due grandi categorie: alimenti no carb e alimenti low carb.

Alimenti senza carboidrati

L’elenco dei cibi senza carboidrati è lungo e ben nutrito. Scorrendolo, ci si rende facilmente conto di come sia assolutamente possibile seguire una dieta low carb senza rinunciare al gusto. Ecco una lista non esaustiva degli alimenti consigliati:

  • Carne bianca e rossa
  • Salumi
  • Pesce
  • Frutti di mare
  • Crostacei
  • Uova
  • Grassi di origine vegetale
  • Grassi di origine animale
  • Formaggi stagionati
  • Parmigiano Reggiano e Grana Padano
  • Ricotta
  • Seitan (il glutine di frumento)
  • Verdure a foglia verde (come lattuga, cavolo, zucchine, cetrioli, finocchi)
  • Ravanelli
  • Funghi
  • Bevande non zuccherate (come thè, infusi, tisane)

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Alimenti con pochi carboidrati

Invece, per quanto riguarda i cibi con pochi carboidrati, nella lista possono essere inseriti:

  • Yogurt (sia classico che greco)
  • Alcune tipologie di frutta fresca (come avocado, frutti rossi, pesche, clementine)
  • Alcune tipologie di verdura (come pomodori, zucca e peperoni rossi e gialli)
  • Frutta secca

Una menzione a parte la meritano tutti i prodotti che normalmente hanno molti carboidrati (e che sono nell’elenco del paragrafo seguente) ma che sempre più spesso vengono anche proposti in versione low carb dall’industria alimentare (come pane e pasta). Bisogna tenere bene a mente che si tratta di soluzioni di compromesso che è sempre meglio evitare, in favore del consumo di cibo vero.

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I Cibi da evitare (perché hanno troppi carboidrati)

Infine, i cibi che finiscono sul banco degli imputati perché contengono troppi carboidrati e quindi vanno evitati se si sceglie un regime alimentare low carb.

  • Prodotti da forno (come pane, cracker, biscotti, pizza)
  • Dolci e merendine
  • Pasta (anche integrale)
  • Riso
  • Patate
  • Zucchero (sia bianco che di canna)
  • Legumi
  • Miele
  • Sciroppi di vario genere
  • Bevande zuccherate e succhi di frutta
  • Birra
  • Frutta

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Integratori e dieta chetogenica, facciamo chiarezza

Quando si segue una dieta chetogenica si devono assumere degli integratori? E quali? In che dosaggio? Sul tema circolano numerose informazioni, spesso fuorvianti. D’altra parte, gli integratori hanno conosciuto un crescente successo negli anni e sono ampiamente commercializzati. Questo articolo prova a fare chiarezza sul rapporto tra ketodiet e integrazione, partendo ovviamente da riferimenti scientifici e sfatando i falsi miti del “fai da te”.

Tra coloro che si approcciano alla dieta chetogenica c’è la diffusa convinzione che questo regime alimentare vada accompagnato con l’assunzione di numerosi integratori. Lo può confermare qualsiasi professionista della nutrizione che utilizzi la keto diet nel suo lavoro: i pazienti chiedono sempre quali integratori debbano prendere. E lo confermano anche i numerosi contenuti online dedicati al tema degli integratori e dei pasti sostituivi in chetogenica (le cosiddette bustine, a cui è dedicato un intero articolo che si può legger qui). Tra i motivi che hanno portato al radicamento di questa idea, c’è senza dubbio anche la popolarità che nel tempo hanno acquisito gli integratori, oggi ampiamente commercializzati e molto di moda. Ma c’è davvero bisogno di integrare quando si segue una dieta chetogenica? Ed eventualmente quali e quanti integratori vanno assunti? Visto l’interesse intorno alla questione, è bene fare chiarezza. Partendo, però, da una doverosa premessa.

Cosa sono e a cosa servono gli integratori?

Cominciamo dalla prima domanda: cosa sono gli integratori? Il termine raccoglie una pluralità di sostanze che hanno un denominatore comune: contengono elementi che fisiologicamente sono già presenti nel corpo umano, come vitamine, minerali, aminoacidi, fibre, acidi grassi e via dicendo. Gli integratori possono assumere diverse forme: compresse, pasticche effervescenti, bustine, eccetera. Ciò che rimane invariata è la loro funzione: integrare la presenza di uno specifico elemento (o di più elementi) nel corpo. La differenza con i farmaci è netta ed evidente. Questi ultimi, infatti, servono a contrastare gli squilibri causata da una patologia, ripristinando una condizione sana.

L’integrazione nella dieta chetogenica

Alla luce della definizione appena data, è possibile risolvere i dilemmi dell’integrazione nella dieta chetogenica. Serve? Non serve? Quali integratori? Quanti? La risposta è piuttosto semplice: in keto diet (come in qualsiasi atro regime alimentare) gli integratori vanno assunti solo se e quando servono. E la valutazione sulla necessità o meno di integrazione non può che essere fatta da un nutrizionista. Bisogna assolutamente tenersi alla larga da soluzioni fai da te o dai consigli di amici e parenti. È uno specialista a poter dire, analisi alla mano, se c’è qualche carenza che va integrata e se non ci sono controindicazioni all’assunzione di prodotti. In alcuni casi, infatti, prendere gli integratori sbagliati può essere dannoso, come nel caso dell’assunzione di fibre per chi ha problemi gastrointestinali. Altre volte, invece, può essere utile ma solo in particolari periodi dell’anno (come il magnesio in estate). Infine, molto spesso, è semplicemente inutile. Infatti, se ben impostata da uno specialista, la dieta chetogenica è assolutamente in grado di fornire all’organismo tutto ciò di cui ha bisogno. L’importante è che:

  • sia strutturata e seguita da un nutrizionista;
  • si tratti di una keto diet che prevede il consumo di cibo vero;
  • si selezionino gli alimenti in base alla qualità (ad esempio: uova biologiche o carne da allevamenti italiani).

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Digiunare fa bene o fa male?

Digiunare fa bene? Digiunare fa male? Spesso, quando si parla di benefici e controindicazioni del digiuno, ci si divide in fazioni contrapposte, dimenticando di cercare nella scienza la risposta corretta. Questo approfondimento prova a fare chiarezza su questa antica contrapposizione: digiuno sì o no?

Quello del digiuno è uno strumento che divide. C’è chi lo pratica con regolarità, chi se ne serve in alcune fasi della propria vita per dimagrire e chi lo usa come rifugio per rimettersi in riga dopo un periodo di eccessi con il cibo. Ma c’è anche chi lo ritiene dannoso per la salute e quindi se ne tiene a debita distanza. Una sfida tra favorevoli e contrari che si gioca tutta attorno al solito dilemma: digiunare fa bene o fa male? Per fortuna, la scienza ha una risposta chiara (ma non banale) a questa domanda, elaborata sulla base di studi ed evidenze.

I benefici del digiuno

In questa analisi sui benefici e sulle controindicazioni del digiuno è bene partire da una costatazione fin troppo semplice ma cruciale: digiunare non è un’invenzione moderna, una moda lanciata da chissà quale guru, bensì una pratica antica. Anzi, se si guarda alla tipologia di digiuno attualmente più diffusa, cioè il digiuno intermittente (intermittent fasting, nella versione 16/8 o 20/4), ci si rende conto che è un’abitudine quasi innata nell’essere umano. Qualunque persona, infatti, sta senza mangiare per almeno 8-10 ore, se si conta il tempo che passa dalla cena alla colazione del giorno dopo. Se si agisce con criterio, quindi, digiunare non fa male ma bene.

Leggi di più sul digiuno intermittente

I benefici del digiuno sulla salute sono molteplici. Il primo vantaggio da sottolineare è che facilita il dimagrimento, consentendo di diminuire le riserve di grasso. Quando mangiamo normalmente, il nostro corpo cerca di creare delle riserve energetiche utilizzando l’eccesso di cibo ingerito. Nascono così i depositi di grasso, il cui scopo è permettere all’organismo di affrontare periodi di ipotetiche “vacche magre”. Il digiuno simula proprio questa situazione di carenza di cibo. Digiunare abbassa i livelli di zucchero nel sangue e fa scendere anche quelli dell’insulina. A questo punto, per prima cosa vengono mobilitate le riserve di glicogeno, esaurite le quali, il corpo passa ad aggredire le riserve di grasso. Ed è così che non solo si dimagrisce ma si ottiene anche un effetto di ricomposizione corporea a vantaggio della massa magra.   

Leggi di più su dieta e insulino resistenza

Ulteriori effetti benefici del digiuno sono:

  • miglioramento della salute delle ossa;
  • miglioramento della salute cardiovascolare;
  • diminuzione del rischio di insorgenza di malattie infiammatorie;
  • diminuzione del rischio di insorgenza di tumori.

Digiunare fa male se…

A questo punto, sembra evidente che la tesi più accreditata sia quella di coloro che dicono che il digiuno fa bene. Ed è senza dubbio così, ma ad una condizione: che si evitino le soluzioni fai da te e ci si affidi a un professionista specializzato in nutrizione. Se lo si fa in modo non corretto, infatti, digiunare può fare male. Il digiuno va impostato nel modo giusto, con regole precise e calibrate sullo stato di salute di chi deve praticarlo. Perché digiunare è cosa ben diversa dal semplice non mangiare. Non si improvvisa, non è per tutti uguale, non va standardizzato. Altrimenti, i rischi per la salute superano i benefici e si può andare incontro a danneggiamento del metabolismo, perdita di massa magra, indebolimento generale e altre controindicazioni, anche serie.

Tutti i benefici di una dieta low carb


Come misurare la chetosi: tipologie di test e consigli pratici

Misurare la chetosi, quando si segue una dieta chetogenica, è possibile grazie a test specifici che indagano la presenza di corpi chetonici nel sangue e nelle urine. È bene però sapere che i test della chetosi hanno un margine di errore e dipendere da queste misurazioni è sbagliato. Ciò che davvero conto è sentirsi meglio e vedersi meglio, registrando progressivi risultati in termini di perdita di peso, ricomposizione corporea e riduzione delle circonferenze corporee.

La chetosi è il meccanismo su cui si fonda la dieta chetogenica, come rivela chiaramente anche il nome (qui un approfondimento sul tema). Entrare e rimanere in chetosi, quindi, è l’obiettivo di chi segue una keto diet. Un risultato che si ottiene riducendo drasticamente il quantitativo di carboidrati consumati in una giornata (approccio low carb), in modo da indurre l’organismo ad utilizzare le riserve di grasso come fonte di energia, al posto degli zuccheri. Ma come si fa ad essere certi di essere in chetosi? È possibile misurare questa condizione? Sì, la misurazione della chetosi è possibile, attraverso l’utilizzo di appositi keto test. Questi strumenti, però, vanno usati con intelligenza e soprattutto non bisogna diventarne dipendenti e ossessionati.

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I test per misurare la chetosi: sangue, urine e respiro

Le modalità attraverso cui è possibile misurare la sussistenza e l’intensità dello stato di chetosi sono essenzialmente tre: test del sangue, test delle urine e test del respiro. Tutti sono facilmente reperibili in farmacia e possono essere fatti a casa propria.

Il keto test ematico misura direttamente la quantità di chetoni presenti nel sangue (cioè l’elemento fondante della chetosi). Basta pungersi la punta del dito (come nei test dell’insulina per diabetici) e stillare una goccia di sangue da far cadere su un’apposita striscia assorbente.

Molto semplice è anche il test delle urine. In questo caso è necessario bagnare l’apposita striscia assorbente con dell’urina. Nel giro di pochi secondi, il test si colora con intensità differente a seconda del quantitativo di corpi chetonici presenti nel liquido. È bene precisare che, con questo test, vengono conteggiati chetoni scartati dall’organismo, che ormai ne sono usciti perché espulsi proprio attraverso le urine.

Terzo metodo: il test con respiratore, dentro cui bisogna semplicemente espirare. Anche in questo caso, l’esame è molto semplici da realizzare ed è sempre basato su una misurazione indiretta, cioè la quantità di acetone presente nel respiro.

Quanto sono attendibili i test per la misurazione dei chetoni?

A questo punto, è normale chiedersi quanto siano attendibili questi test di misurazione della chetosi e quale lo sia maggiormente, anche per farsi guidare nell’acquisto. Il test più affidabile è senza dubbio quello del sangue, perché misura direttamente i chetoni presenti nel flusso ematico. Urina e respiro, invece, sono un po’ meno attendibili perché si basano su misurazioni indirette, di chetoni che sono ormai usciti dal corpo e rappresentano quindi uno scarto. C’è da dire, però, che il risultato che danno rappresenta comunque un buon punto di riferimento a fronte di una maggior facilità di utilizzo.

Consigli sulla misurazione della chetosi: quale test scegliere e come gestirla (h2)

Quindi, bilanciando la fruibilità con l’attendibilità, il test consigliabile è quello delle urine. Però, se si soffre di patologie particolari (come l’epilessia), è meglio affidarsi al test del sangue. In questo senso, la migliore indicazione non può che arrivare dal proprio specialista.

Ciò che è molto importante capire quando si parla di misurazione della chetosi è che non bisogna avere verso questi strumenti un approccio ossessivo, uguale a quello che molti hanno verso la bilancia. È bene misurare periodicamente lo stato di chetosi, soprattutto nella fase iniziale della dieta chetogenica, per sapere che percorso si sta intraprendendo. Allo stesso tempo, però, non si deve esagerare, finendo per essere dipendenti da una continua verifica della propria condizione. Il rischio, infatti, è quello di indurre un meccanismo stressante che può anche portare a frustrazioni e magari a lasciar perdere la dieta.

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Dolci chetogenici, istruzioni per l'uso

Esistono davvero i dolci chetogenici? Come si preparano? In che quantità possono essere mangiati? In questo articolo viene approfondito uno degli argomenti più spinosi per chi segue una dieta low carb: il rapporto con i dolci. L’obiettivo è capire come regolarsi, per non vanificare i risultati della dieta senza però rinunciare al piacere del dolce, soprattutto nelle occasioni speciali.

La rinuncia ai dolci è uno degli scogli maggiori che si trova ad affrontare chi decide, su consiglio medico, di intraprendere un percorso di dieta chetogenica o comunque low carb. Si tratta di un ostacolo molto spesso psicologico, perché legato alla sensazione di piacere che si prova a consumare cibi ricchi di zuccheri raffinati. Un meccanismo qualificabile come una vera e propria dipendenza da zuccheri. Anche chi non sviluppa una dipendenza, però, può avvertire la voglia di concedersi un dolce di tanto in tanto. È possibile accontentare questo impulso? La risposta, in linea generale, è sì, perché esistono i cosiddetti dolci chetogenici, cioè preparati con ingredienti che escludono o minimizzano la presenza di carboidrati. È necessario, però, contestualizzare e perimetrare bene questo consumo di dolci in chetogenica, per non rischiare di vanificare tutto lo sforzo che si fa per entrare in chetosi.

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Dolci chetogenici: istruzioni per l’uso

Quindi, prima di capire come sia possibile preparare dei dolci adatti alla dieta chetogenica, è bene fare una premessa. In linea di principio, è consigliabile evitare di consumare cibi dolci, anche se low carb, soprattutto nella fase iniziale del nuovo regime alimentare. L’avvio della keto diet, infatti, è un momento molto importante e particolare, bisogna superare una barriera mentale, avallata da anni e anni di comunicazione mediatica che ha contribuito a creare alcuni falsi miti sul tema dell’alimentazione. Per avere successo con la chetogenica, è necessario reimpostare il senso di fame e di sazietà, lavorare su ciò che il corpo percepisce e richiede. In quest’ottica, il problema dei dolci chetogenici è che mandano al cervello lo stesso impulso di un dolce zuccherino. In questo modo, non liberano dalla dipendenza ma la appagano con un cibo non dannoso. Impediscono, quindi, di agire in modo profondo e definitivo, lasciando sempre aperta la possibilità di una ricaduta, di una fuga verso gli zuccheri. Ecco perché è consigliabile limitare il ricorso ai dolci chetogenici solo ad occasioni speciali, come compleanni o festività.

Che dolci si possono mangiare in chetogenica? Idee per ricette semplici e gustose

Fatta questa dovuta premessa, è arrivato il momento di capire meglio come sia possibile fare e mangiare dei dolci che siano chetogenici, cioè low carb (o meglio ancora no carb). Dolci, quindi, che non lasciano addosso sensi di colpa, perché non fanno uscire dalla chetosi. In realtà, non ci sono grandi segreti da svelare, tutti gli ingredienti necessari sono noti e disponibili in qualsiasi supermercato. Anzi, in molti casi, sono già presenti nel frigo o nella dispensa di casa. Il primo “trucco” per i keto dolci è sostituire la farina tradizionale con quella di nocciole, di mandorle, di arachidi o di cocco. Altro accorgimento necessario è quello relativo all’uso di dolcificanti: vanno ovviamente preferiti quelli a basso contenuto di zuccheri, come l’eritritolo, lo xillitolo, il sorbitolo e il maltitolo. Nessun problema, invece, per la componente di grassi: burro, olio, latte, mascarpone e panna sono ingredienti buoni per ogni dolce, sia chetogenico che tradizionale. Per guarnire e diversificare i sapori, infine, ci si può affidare alla frutta secca, alle scaglie di cioccolato fondente e agli aromi (vaniglie, rum, cacao amaro, polvere di caffè, eccetera). Ad esempio, è possibile creare della gustosa frolla per biscotti o base di cheescake amalgamando farina di nocciole, burro, aroma di vaniglia ed eritritolo. Oppure, preparare una deliziosa farcitura (da gustare anche al cucchiaio) con mascarpone, panna e cacao amaro.

I dolci chetogenici, quindi, esistono davvero e sono semplici da preparare. Questo, però, non cambia la premessa di partenza: soprattutto nella prima fase di keto diet sarebbe meglio farne a meno.

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Perché non perdo peso? Ci sono almeno 8 buoni motivi possibili

Non riuscire a perdere peso ed entrar in una fase di stallo della dieta è l’incubo di chiunque voglia dimagrire. Allo stesso tempo, però, è una cosa molto comune (e non sempre negativa). Quando si verifica lo stallo di peso è importante conoscerne le motivazioni per poter agire di conseguenza. 

Non riuscire a perdere peso è la sconfitta che spesso si trova ad affrontare chi segue una dieta. Si sale sulla bilancia e quella, implacabile, restituisce sempre gli stessi kg. Ed ecco allora che ci si ritrova al cospetto del proprio medico di fiducia o del nutrizionista a chiedere sconsolati: “Dottore, perché non riesco a perdere peso?”. Il problema è dato soprattutto dalla frustrazione che scaturisce da questa costatazione, che può sfociare nella scelta di abbandonare la dieta. Ecco perché, per un professionista che si occupa di alimentazione, è fondamentale capire la reale natura del problema e le sue eventuali motivazioni, per poter intervenire di conseguenza. 

Leggi anche: Perché non riesco a stare a dieta?

Lo stallo di peso, tra realtà e false percezioni (h2)

Innanzitutto, è bene sottolineare che lo stallo del peso (così si chiama tecnicamente la fase in cui non si riesce più a perdere peso) è un passaggio fisiologico che prima o poi si verifica quasi in tutti i percorsi dimagranti. Quindi, non c’è da allarmarsi. Inoltre, in alcuni casi, quello che appare come uno stallo del peso, in realtà, non lo è. La prima cosa da chiedersi dunque è: davvero non sto più perdendo peso e ho smesso di dimagrire? Perché invece si potrebbe essere vittima solo di una falsa percezione, magari dovuta a due errori molto diffusi: aspettative eccessive e troppo potere dato alla bilancia.

Per quanto riguarda le aspettative, spesso si tende ad immagine il percorso di dimagrimento come una linea retta, perennemente in discesa. La realtà è molto diversa, perché ogni dieta è fatta di momenti in cui si perde parecchio peso, fasi in cui si scende meno velocemente, settimane di stallo e addirittura, a volte, piccole risalite. È tutto assolutamente normale. Bisogna avere pazienza e non farsi prende dallo scoramento.

Altro tema, invece, è quello del ruolo della bilancia, uno degli oggetti più sopravvalutati di sempre. Quando si è a dieta bisognerebbe nasconderla. Ciò che dice la bilancia, infatti, non è e non può essere legge. Il motivo è molto semplice: ci dice quanti kg pesiamo ma non ci dice come siamo fatti. Quindi, ad esempio, se si sta realizzando un virtuoso percorso di ricomposizione corporea (più massa magra e meno massa grassa) sulla bilancia si potrebbe risultare invariati o addirittura in aumento di peso. Ecco allora che diventa fondamentale accostare alla bilancia altre valutazioni, come l’impedenziometria. E bisogna sempre ricordarsi che il peso non è l’obiettivo della dieta ma solo un segnale di come si sta procedendo verso il traguardo (cioè l benessere psicofisico).

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8 ragioni che non fanno perdere peso (h2)

In alcuni casi, però, lo stallo è reale (soprattutto se dura da almeno 4 settimane). Questo significa che si è davvero smesso di perdere peso e quindi si sta sbagliando qualcosa nell’alimentazione. Di seguito, le motivazioni più comuni che bloccano la perdita di peso in chi segue una dieta chetogenica.

  • Non si è attivato il meccanismo di chetosi, a causa di un consumo eccessivo ma involontario di carboidrati (oltre i 20 grammi netti al giorno)
  • Ci si trova in uno stato di chetogenica intermittente, cioè si entra e si esce dalla chetosi, magari perché ci si concedono frequenti “sgarri”
  • Si sta mangiando troppo, anche se si tratta di cibi permessi dalla keto (il corpo ha bisogno comunque di smaltirli)
  • Si consumano dosi eccessive di frutta secca (come noci e mandorle) e di formaggi, che sono consentiti dalla keto diet, ma con moderazione, soprattutto nella fase iniziale
  • Si eccede con salse e condimenti, anche questi concessi ma sotto controllo
  • Il sangue presenta alti livelli di cortisolo, come succede nei periodi di stress o in cui si dorme poco, si saltano i pasti o ci si allena troppo
  • Si fa poca attività fisica
  • Esistono patologie pregresse, per le quali si assumono specifici farmaci e integratori

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Sconfiggere l’obesità con la dieta chetogenica

Il legame tra dieta chetogenica e obesità non è una novità ma un dato strutturale. La keto diet, infatti, nasce proprio come alimentazione pensata per coloro che devono perdere molto peso e riacquistare una buona salute. Vediamo quali sono i benefici della dieta chetogenica e come possono aiutare le persone obese. 

Può la dieta chetogenica aiutare a sconfiggere l’obesità? La risposta è netta e sicura: sì. Questo regime alimentare, infatti, ha tutte le caratteristiche in regola per supportare le persone obese nel percorso di dimagrimento. È pratica, efficace e sostenibile, perché spegne il senso di fame, aggredisce le riserve di grasso e stabilizza alcuni parametri fondamentali per la salute (come glicemia e insulina). L’importante, però, è non intraprenderlo da autodidatti ma farsi seguire da un professionista.

Vuoi saperne di più sulla dieta chetogenica? Leggi qui

Obesità e keto diet, un legame forte fin dall’inizio della storia

Tra l’altro, il legame tra keto diet e lotta all’obesità ha una dimensione storica e non è un “invenzione” di tempi recenti. Anzi, si potrebbe facilmente sostenere che l’alimentazione keto è nata proprio in un’ottica antiobesità. Infatti, il primo a parlare di regime alimentare chetogenico fu William Bating, imprenditore britannico della prima metà del 1800, fin da giovane in lotta con un peso eccessivo. Stanco di saltare da una dieta e l’altra, senza risultati significativi, Banting, in accordo con il suo medico personale, decise di iniziare un regime alimentare insolito, con molti grassi e pochissimi carboidrati. A dispetto di ogni scetticismo, i risultati furono sorprendenti e quella dieta iniziata quasi per caso divenne un libro: Letter on Corpulence, adressed to the public (1863). L’iniziativa di Banting e del suo medico fu poi ripresa, oltre un secolo dopo, dal Dottor Atkins, cardiologo statunitense, ideatore dell’omonima dieta Atkins. Infine, in anni più recenti, il lavoro di Atking fu approfondito dal Dr. Eric Westman e dal Dr. Yancy, sfociando nella keto diet. 

Perché la dieta chetogenica può aiutare le persone obese: tutti i benefici

Se il legame tra chetogenica e obesità è così risalente e ha resistito allo scorrere dei secoli, evidentemente è radicato in precisi elementi scientifici, che è bene conoscere. Detto in altri termini: quali sono gli effetti benefici che la keto diet produce e che la rendono ottima per supportare le persone obese nel percorso di dimagrimento? Se ne possono evidenziare essenzialmente tre (già accennati in precedenza): riduzione dell’appetito, consumo delle riserve di grasso (preservando la massa magra), stabilizzazione dei parametri cardiaci e metabolici.

Partiamo dal primo: la keto diet riduce il senso di fame, che è responsabile della maggior parte delle frustrazioni di chi non riesce a stare a dieta. La sensazione di aver bisogno di cibo, infatti, è prodotta essenzialmente dai carboidrati, che generano una fortissima dipendenza, che non ha nulla da invidiare a quella che innescano l’alcol o le droghe. Azzerando i carboidrati, quindi, si spegne anche la fame o quantomeno la si rende molto più controllabile. 

Il secondo vantaggio della dieta chetogenica per chi soffre di obesità è la chetosi, cioè il meccanismo che ne è alla base. Quando l’organismo non ha a disposizione carboidrati per produrre l’energia di cui ha bisogno, si organizza per utilizzare i grassi, aggredendo le riserve presenti nel corpo. Questa, quindi, è la chetosi: un processo fisiologico che porta a bruciare i grassi. Viene invece completamente preservata la massa magra, che quindi acquista maggiore rilevanza (in percentuale) rispetto a quella grasso, dando vita alla cosiddetta ricomposizione corporea (che porta ulteriori effetti positivi).

Il terzo (ma non meno importante) beneficio dell’alimentazione keto è la stabilizzazione di alcuni parametri legati al lavoro del cuore e del metabolismo. Ad esempio, la chetogenica permette di tenere sotto controllo glicemia e insulina, così come i livelli ormonali (in particolare nelle donne). 

Dimagrire mangiando grassi, il principio della dieta chetogenica


Dimagrire mangiando grassi? Incredibile ma vero, con la dieta chetogenica

Bruciare i grassi mangiando grassi. È questo il principio che sta alla base della dieta chetogenica e che smentisce la diffusa idea che una dieta, per funzionare, debba essere praticamente priva di grassi. Quindi dimagrire mangiando grassi è possibile e la ragione sta in un processo fisiologico che si attiva nel corpo umano, chiamato chetosi. 

Di solito, quando ci si mette a dieta, soprattutto se si procede con soluzioni “fai da te” (sempre sconsigliabili), il primo obiettivo che si persegue è la drastica riduzione dei grassi. L’idea comune, infatti, è che per dimagrire, cioè per perdere grassi, bisogna evitare di mangiare cibi che ne contengano. La chetogenica, invece, è un regime alimentare che si basa su un principio diametralmente opposto: per bruciare grassi bisogna mangiare grassi. Detto in altre parole: i grassi fanno dimagrire. Ovviamente, questa affermazione non va presa come valore assoluto e soprattutto va contestualizzata nel quadro di un piano alimentare redatto da uno specialista in nutrizione. Non si tratta, però, di una convinzione strampalata campata in aria ma di una precisa evidenza scientifica.

Mangiare grassi per bruciare grassi: la chetosi

 La chiave di tutto è la chetosi (su cui è possibile leggere qui un approfondimento), cioè quel meccanismo fisiologico grazie al quale il corpo umano brucia i grassi per produrre l’energia che gli serve (trasformandoli in acidi grassi e poi in chetoni). La chetosi non è una condizione normale per l’organismo, perché di solito ad essere utilizzati per avere energia sono gli zuccheri. Quando però questi ultimi scarseggiano, il corpo è costretto ad aggredire le riserve di grasso. La dieta chetogenica si pone come obiettivo proprio la creazione di questa situazione di scarsità di zuccheri. In che modo? Minimizzando il consumo di carboidrati, che ne sono la fonte principale nell’alimentazione. In keto diet, infatti, sono consentiti solo 20 grammi di carboidrati netti al giorno (ecco perché è annoverabile tra le diete low carb). Questo drastico abbassamento degli zuccheri disponibili spinge l’organismo ad entrare in chetosi nel giro di poco tempo, ed è così che le riserve di grasso vengono attaccate. Per questo motivo, una dieta chetogenica ben fatta non porta solo a una riduzione del peso ma a una vera e propria ricomposizione corporea, con una diminuzione della percentuale di massa grassa e un aumento di quella di massa magra. Oltre alla chetosi, però, ci sono anche almeno altre due motivazioni che rendono i grassi degli ottimi alleati di chi sta a dieta. La prima ha a che fare con il loro sapore: nella maggior parte dei casi, i cibi che contengono grassi sono gustosi, hanno sapore e ne danno agli altri alimenti. In secondo luogo, i grassi saziano, quindi aiutano a contrastare il senso di fame.

Dimagrire con i grassi: sì, ma quali?

A questo punto, è lecito chiedersi quali siano i grassi che realizzando questo effetto “dimagrante”. La risposta è semplice: in chetogenica tutti i grassi sono consentiti, compresi quelli che normalmente godono di una brutta (e ingiustificata) fama, come il burro. Alcuni, come l’olio di oliva e quello di cocco si prestano molto bene per la cottura dei cibi o per il loro condimento. Al contrario, bisognerebbe invece evitare l’utilizzo di grassi di semi raffinati e margarine. C’è poi una lunga lista di alimenti ad alto contenuto di grassi, che d solito le diete bandiscono e che invece la chetogenica permette di consumare: uova, formaggi, carne di maiale, eccetera. Insomma, la dieta chetogenica non manca certo di piacere.

La chetogenica a tavola: alimenti consentiti e vietati